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Una redazione per leggere il presente 

Leggere per ricordare

Leggere per ricordare
“Postazione 23. I miei 100 giorni a Beirut”, Edizioni Ares
di Marco Fort

Franco Bettolini e Marina Crescenti, intervistati dal giornalista Francesco Napoli, hanno presentato a Milano Postazione 23. I miei 100 giorni a Beirut, edito da Ares. I due autori sono stati ospitati nel “salottino” della nuova sede dell'editrice, in zona Ticinese, fra preziose stampe di testi di successo, titoli premiati ed edizioni note (ad esempio “Il cavallo rosso” di Corti, clamoroso successo). Presente anche il direttore Cesare Cavalleri.
Franco Bettolini, bersagliere dell’Esercito italiano e narratore appassionato, ha messo nero su bianco la sua esperienza di soldato nella guerra civile del Libano, sanguinoso conflitto degli anni Ottanta, a cui parteciparono con compiti di peacekeeping anche contingenti italiani, affiancati da truppe francesi, inglesi e americane, con lo scopo di scortare all’esterno del Paese del cedro rosso esponenti palestinesi in conflitto con le forze israeliane.
Coadiuvato nella scrittura da Marina Crescenti, già autrice di romanzi gialli e polizieschi, Bettolini racconta in prima persona i momenti più significativi del suo servizio militare, tra cui il salvataggio riuscito di un bambino libanese sotto il bombardamento e quello fallito di un soldato francese, morto fra le braccia dell’autore, nel tentativo di estrarlo vivo dalle macerie di un palazzo bombardato.
“Una storia, con la s minuscola, che diventa Storia, con la maiuscola”, ha affermato Napoli, commentando il romanzo. Niente di più vero, la storia personale di uno dei tanti soldati italiani, spesso dimenticati nel dibattito pubblico, così distante dalla guerra in Libano e dagli altri conflitti in giro per il mondo, scaraventato laddove si compiva la storia, in parte determinandone gli esiti di estrema umanità con piccoli e semplici gesti.
Interessante anche il ruolo della Crescenti, che ha dovuto scoprire un inedito modo di scrittura: quello di stendere biografie di altre persone. Compito nuovo evaso con disinvoltura, nello stile vivo e vibrante dei brevi passi letti durante l’incontro. “Si deve dimenticare sé stessi”, ha detto la scrittrice, interpellata da Napoli, circa il metodo con cui ha affrontato il lavoro.
Bettolini ha sottolineato i temi della fratellanza e dell’appartenenza, alla bandiera, alla Patria, così spesso bistrattata, al proprio battaglione e al proprio comandante, il celebre generale Angioni, di cui è presente una breve prefazione di commento al testo.
Un altro fattore sollevato, questa volta da Leoni, giornalista e uno dei primi critici ad avere fra le mani il volume, è la profonda veridicità di quanto raccontato, “la verità vera e propria”. Il linguaggio ricalca quello della caserma; è verace e sanguigno, soprattutto grazie alla penna della Crescenti. Infine, un altro tema è quello del valore dimostrato dalle truppe italiane durante l’operazione in Libano, nonostante le critiche e lo scetticismo dell’opinione pubblica dei primi anni Ottanta.
Dimenticati rapidamente, i reduci italiani delle operazioni libanesi sentono, a distanza di quasi quarant’anni, la necessità di ridare voce alle loro storie di guerra, di vita e di morte. Per questa ragione, il bersagliere Bettolini, dopo anni di silenzio, anche pesante, specie a ridosso del ritorno in Italia al termine delle operazioni militari, ha voluto rinnovare i suoi ricordi: Patrick, il soldato francese in fin di vita sotto le macerie, il bambino libanese, col quale ogni dialogo era pressoché impossibile a causa dell’idioma ma istintivo nel profondo del cuore grazie al linguaggio universale della condivisione, dell’altruismo e dell’amore.
Un narratore potente, storie segnanti, stile superlativo: i presupposti per restare affascinati ci sono.

Bologna Children’s Book Fair: dallo stage alla Mostra degli illustratori

Bologna Children’s Book Fair: dallo stage alla Mos...
di Gloria Spelta

Bologna, aprile 2019 - Subito dopo aver superato i tornelli d’entrata della 56edizione della Bologna Children’s Book Fair, sono stata travolta da centinaia di foglietti colorati, appesi a pannelli bianchi, che riportavano disegni dettagliatissimi o semplici schizzi, accompagnati da cartoncini con nomi e numeri di telefono. Ogni singolo pezzo di carta rappresenta la speranza di giovani artisti - alle prime armi o comunque ancora sconosciuti - di essere notati. Da parte di chi? da autori, editori, critici d’arte, che arrivano a Bologna  da tutto il mondo. Questa emozione si percepiva, forte come il vento.
È stato sufficiente proseguire di qualche passo per arrivare al cuore della Mostra delle illustrazioni, nella quale è ogni anno possibile ammirare disegni, dipinti o tessuti ricamati a mano. La fantasia sconfinata di questi artisti ci permette di ammirare opere realizzate seguendo stili diversi, utilizzando tutti i colori e le tecniche a cui si possa pensare, scaturite da menti e idee lontane in tutti i sensi. Quest’anno sono stati selezionati per la Mostra 76 artisti, provenienti da 27 Paesi (su 2901 richieste e lavori inviati, da 62 Paesi).

Per me è stata la prima volta alla Fiera Internazionale del Libro per ragazzi, con il “compito” di focalizzare l’attenzione proprio sull’Illustrators Exibition. E’ questo che sono riuscita a percepire maggiormente: dietro ad ogni tratto di matita su quei fogli deve esserci stato un ricordo infantile, un desiderio mai realizzato, sogni impossibili, scenari vissuti in prima persona o pensieri dolorosi trasformati in bellezza. Tutte espressioni dell’animo umano che si appoggiano sulla materia, e con forza gridano: guardami, leggimi.
Animali, persone, oggetti, mondi sconosciuti, universi paralleli, città, vedute quotidiane. Occhi curiosi, spalancati, socchiusi, dormienti, spaventati. Bianchi e neri, tonalità pastello, colori vivaci come i quattro elementi, tinte unite. Tutto realizzato con lo scopo di incuriosire il bambino. Piccoli capolavori. Non sono mancati disegni più banali o pretenziosi, ma lasciamo agli esperti il compito di giudicare…
Ora mi è più chiaro che mai: l’arte non si ferma al cinema, alla letteratura e alla pittura dedicata agli adulti in grado di valutarla con occhio critico, ma si rivolge anche ai più piccoli che inconsapevolmente costituiscono il pubblico più difficile da convincere, divertire, affascinare. Serve sensibilità sia nei testi delle storie che nelle illustrazioni, in modo tale che il bambino conservi un piacevole ricordo. Per sempre. La Mostra delle Illustrazioni per Ragazzi di Bologna mi ha offerto la prova che al mondo ci sono artisti – anche giovani - perfettamente in grado di riuscirci.

CHINAMEN, la graphic novel che narra un secolo di cinesi a Milano

CHINAMEN, la graphic novel che narra un secolo di ...
di Andrea Fuggetta

Milano, marzo 2019 - E’ vero che le comunità cinesi in Italia soffrono di una chiusura culturale e sociale oppure è un luogo comune? Pare si tratti di un  preconcetto, anzi “la comunità cinese di Milano è molto attiva soprattutto nel creare associazioni volte all’integrazione”.
Die giorni fa si è svolta, presso l’Università Cattolica di Milano, la presentazione della graphic novel “Chinamen” di Matteo Demonte e di Ciaj Rocchi. Presenti anche Elisa Giunipero (direttrice dell’istituto Confucio), Antonella Sciarrone Alibrandi (Prorettore), Lala Hu (ricercatrice di Economia e gestione dell’impresa) e Marco del Corona (Corriere della sera).
“Chinamen” è una graphic novel che segue “Primavere e Autunni”, (prima opera di Del Monte e Rocchi, già alla V ristampa), dove il tema dell’emigrazione cinese in Italia e le vicissitudini degli emigrati si concentrava soprattutto sulla storia familiare del nonno di Del Monte, mentre “Chinamen” ha un respiro che ingloba più storie, sempre di cinesi nel Bel Paese.
La graphic novel ha un taglio fortemente documentaristico, è precisa nel raccontare le vicende storiche e soprattutto i sacrifici fatti per costruirsi una nuova vita.
Matteo del Monte ha spiegato il percorso creativo che ha portato a quest’ultima opera e la scelta del titolo: “chinamen” è un aggettivo utilizzato per etichettare i maschi cinesi nelle comunità sparse per il mondo, come “per far capire il loro racconto di sacrifici e speranza”.Ha poi elogiato l’Istituto Confucio per “il grande aiuto nel diffondere questo messaggio di sensibilizzazione”.
La direttrice Elisa Giunipero, oltre a tessere le lodi per la Chinamen nel suo complesso, ha illustrato le iniziative che l’Istituto Confucio attiva per facilitare la creazione di un terreno di incontro con una cultura così lontana.
In un video è stata data voce e forma alle vicissitudini degli emigrati cinesi fin dall’arrivo in Italia: la diffidenza della popolazione e delle autorità, le problematiche derivanti dalle forti differenze - culturale e linguistica-, fino a storie di integrazione e d’amore tra cinesi e italiani.
Lala Hu, ricercatrice della Cattolica, indirizzandosi agli studenti cinesi presenti, li ha incoraggiati a “essere un ponte tra i due Paesi, sia dal punto di vista culturale che economico”.

Giovani nel 2019 e fede: idee alla luce del Sinodo

di Gloria Spelta

Milano, marzo 2019 - I giovani e la bellezza dell’incontro con Dio, tra inquietudine e nostalgia. E' questo il titolo della lectio magistralis per gli universitari svoltasi in questi giorni nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano.
Che cosa cercano oggi i giovani? La felicità, tanto ambita, così difficile da conquistare e ancora più difficile da mantenere, come trovarla? Monsignor Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei, ha detto ai giovani, nella sua lectio magistralis, che è possibile rendere il mondo migliore avvicinandosi all’altro, aprendosi all’incontro tra generazioni, culture e persone.
Una tematica estremamente attuale che ha affrontato con grande positività, speranza e fiducia.
Alla GMG di Panama 2019, appena conclusa, Papa Francesco si è rivolto ai 500.000 giovani presenti e a tutti quelli sparsi nel mondo per incoraggiarli a inseguire i loro sogni, che non sono nel domani, ma nell’oggi, da afferrare con forza e passione.
Per alcuni resta da capire se l’incontro con se stessi e con gli altri sia un valore o un pericolo. Un nodo non semplice da sciogliere. Ma – è stato detto - come può essere pericoloso amare gli altri? Dio è amore e l’amore è relazione, incontro, dialogo. Chi abbandona la fede non combatte Dio ma l’idea sbagliata che si è fatto di Lui. E allora, fidiamoci: dell’uomo, della fede, della vita, di Dio. Allontaniamo la paura di non ricevere tutte le risposte a tutte le nostre domande.
“Negli ultimi tre decenni – ha affermato mons. Castellucci - le passioni giovanili si sono apparentemente affievolite; oggi si incanalano prevalentemente nelle relazioni dirette, nell’amicizia e nel volontariato; i giovani, come afferma il documento finale del Sinodo, «imparano volentieri dalle attività che svolgono, dagli incontri e dalle relazioni» (n. 77). Fondamentale dunque offrire loro occasioni molteplici per l'incontro.

Il tennis è musica, parola di Adriano Panatta

di Andrea Fuggetta
Milano, febbraio
 2019 - Nell’elegante location della libreria Rizzoli in Galleria si è svolta la presentazione del libro Il tennis è musica di Adriano Panatta e Daniele Azzolini.
Presenti i due autori, il campione e il giornalista sportivo; moderatore Stefano Meloccarodi Sky Sport, che ha rotto il ghiaccio ricordando l’eccellenza di Panatta, motivo d’orgoglio per il Paese e protagonista della storia tennistica non solo italiana.
L’idea del libro è nata da una scintilla del giornalista che ha convinto il tennista a scrivere insieme una sintesi di 50 anni del Tennis Open; in ogni capitolo un anno, con l’evento o il campione che hanno lasciato il segno.
La narrazione di Panatta, arricchita dallo stile autoironico, parte dal 1968, anno di nascita dell’Open; lui aveva appena 18 anni e si apprestava a partecipare al primo torneo da professionista, in Australia. “Fu come sbarcare in un altro mondo”, dice. Il 1968 è un anno spesso citato perché furono unificate le due categorie, dilettantistica e professionistica, arrivando a creare un tennis internazionale dove tutti giocavano contro tutti.
Alla domanda su cosa avesse scoperto di sé nello scrivere, ha risposto: “Questo libro non è incentrato sulla mia persona o sulla mia carriera ma sul tennis”; grazie alle sue conoscenze dirette dei fatti è riuscito a svelare tanti piccoli retroscena ignoti ai più, per esempio quell’essere “un matto calmo” di Bjorn Borg o quel fare il “finto poeta” di Guillermo Vilas.
Non ha esitato a tessere le lodi del giovane tennista italiano Lorenzo Musetti, 17 anni, già considerato come suo erede, per l'eccezionale abilità.
L’interesse si è concentrato anche sulle nuove metodologie di allenamento, sull’alimentazione e sulle nuove racchette, che hanno cambiato modalità e ritmi del gioco. Panatta ha spiegato come ormai l’alimentazione degli atleti oggi sia curata nei minimi dettagli (con uno spassoso aneddoto su Doković), e come queste racchette abbiano permesso un gioco più veloce, con colpi più potenti. Non ha risparmiato qualche piccola critica: oggi il gioco gli sembra più impulsivo, soprattutto il femminile,“si risponde solo colpo su colpo”.
Infine i coach: secondo Panatta oggi molti di loro tendono a non correggere di continuo il loro giocatore, al contrario dei coach “di allora”, con il polso più fermo. C'è da imparare...

Siria: incontro con Domenico Quirico

Siria: incontro con Domenico Quirico
Domenico Quirico, l’ultimo europeo? 
di Marco Fort 

Milano, 30 novembre - “Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: 'Non c'è altro da vedere', sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro”.

Così scrive il premio Nobel, José Saramago, e nessun passo può meglio adattarsi alla persona di Domenico Quirico, inviato per la sezione esteri del quotidiano La Stampa. Il viaggio è una costante nella vita di Quirico, tanto da segnarne parti importanti, come quando nel 2013 è stato rapito, in Siria, dai fondamentalisti islamici, rimanendo ostaggio per 5 lunghi mesi.
Megliounlibro ha avuto l’opportunità, il 13 novembre, di partecipare all’incontro organizzato da Villa Vigoni presso l’Ufficio del Parlamento Europeo a Milano, “Domenico Quirico, l’ultimo europeo?”, ospite il giornalista astigiano, dove è stato proiettato in esclusiva il documentario di Paolo Gonella, “Viaggio senza ritorno”.

Il filmato racconta, attraverso interviste, l’esperienza di Quirico prigioniero, analizzando i sentimenti contrastanti vissuti in quell’esperienza e toccando anche altre vicende della sua carriera di inviato di guerra.
Quirico ha affermato più volte che i suoi aguzzini erano “come una specie umana aliena”, ovvero per noi indecifrabile. E andado a fondo ha osservato, in questo “conflitto culturale” sperimentato durante il suo rapimento, l'assenza del Diritto, la legge, il rispetto dell’altro, tipicamente “nostro”, con radici europee. Nelle zone di guerra non esiste il Diritto: è tutto arbitrario, anarchico, legato alle scelte del singolo o del mercenario armato.

Al termine del video, nel dibattito con esponenti di associazioni sociopolitiche giovanili che operano in ambito europeo (Civetta, Unesco Giovani, Culturit, European Generation), alle domande sull’Europa, Quirico dà una risposta “speciale”. Se si parte dal presupposto che l’Occidente, mondo del Diritto, sia rappresentato oggi dagli Usa, e purtroppo l’Ue sembra aver perso centralità, allora le prossime Europee 2019 potrebbero dare una svolta.

Quirico ha riflettuto sul fatto che se oggi spesso il “valore” riconoscibile a livello macro è la brutalità, allora la chiave per uscire da un ruolo subalterno, per l’Unione Europea, è saper opporre alla brutalità il Diritto. Se la politica riuscirà a cambiare l’immagine dell’Europa, puntando sulla legalità, allora essa potrà superare la crisi e tornare ad essere soggetto protagonista a livello internazionale.
Quirico è sicuro: deve passare un’immagine dell’Europa come terra del Diritto, in opposizione alla brutalità di altre aree. E in questo anche il giornalismo avrà una responsabilità. 

Siria: incontro con il vicario apostolico di Aleppo

SIRIA. Una storia, una fede
di Laura Prinetti 
Milano, 9 nov - Quanta sofferenza ha sopportato la Siria, quanta ancora ne avrà? Mons. Abou Khazen è un testimone unico, che oltre alla realtà fa conoscere le necessità di aiuto e semina in Occidente la speranza. Ma andiamo con ordine. "SIRIA, una storia, una fede" è il titolo della giornata di studi presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana a cui abbiamo partecipato per voi. Molti i testi sulla Siria che i lettori ci chiedono di cercare, oltre a quelli già segnalati.
Dopo il saluto del prefetto dell'Ambrosiana, mons. Marco Ballarini, di seguito la carrellata del ricercatore ISPI, Matteo Colombo, per inquadrare storicamente la geopolitica e lo sviluppo del conflitto, l’intervento dell’archeologa Maria Teresa Grassi, che partecipava per la Statale di Milano agli scavi di Palmira, padre Marco Pavan, che ha spiegato come gli estremisti stiano distruggendo persino i manoscritti. L’islamologo Paolo Nicelli, è stato chiaro: le ideologie fanatiche non hanno nulla a che fare con la religione: stanno distruggendo tutto, passato e presente, incluso il patrimonio dell’islam (hanno cacciato l’imam da Aleppo).
Una domanda inquietante è emersa a partire da questi interventi: la Siria esiste ancora come Stato? Mille gruppi armati stanno facendo strage dal 2012, e oggi le sorti della Siria sono nelle mani di Usa, Arabia Saudita, Israele, Russia, Iran, Turchia. Quella che veniva chiamata “civiltà del libro” per l’alto livello e la capacità di approfondimento dei suoi talenti, oggi è ridotta allo stremo.

Intervento attesissimo quello di mons. Georges Abou Khazen, francescano della Custodia di Terra Santa, vicario apostolico di Aleppo.
“Ogni cittadino del mondo sa di avere due patrie, una è quella in cui vive e l’altra è la Siria”, si diceva un tempo. Quanti tesori c’erano in Siria! un paese aperto, un mosaico colorato con 23 gruppi etnici e religioni diverse; si viveva in piena sintonia. Ma ora hanno voluto ridurre tutto ad un unico colore, il nero.
L’infrastruttura della Siria è stata distrutta. Completamente. L’elettricità prima di tutto, ma poi l’acqua, i ponti. Tutto quello che potevano l’hanno distrutto. I manoscritti, i siti archeologici e persino i pezzi non catalogati. “Ci vogliono sradicare. Ci vogliono imporre la loro storia”. Perchè determinant è stata, sin dalle origini, la cultura cristiana in Medio Oriente. 
Questa crisi è stata un terremoto. “Abbiamo avuto 400.000 morti e migliaia di rapiti, tra cui 2 vescovi e 3 sacerdoti (padre Dall’Olio è uno), e abbiamo 1 milione e mezzo di feriti di guerra mutilati. Ad Aleppo, città industriale paragonabile a Milano, hanno distrutto quasi tutte le fabbriche, rubato i macchinari, e la gente è rimasta senza lavoro. Si parla di 2000 bimbi che sono rimasti “figli di nessuno”, nella sola Aleppo. Hanno distrutto persino i cimiteri, aperto le fosse. Su 5 persone 4 in Siria sono ridotte in povertà.
Come Chiesa stiamo cercando di arrivare a quante più persone possibile ma i bisogni sono enormi. La Chiesa ha tre ospedali aperti, abbiamo procurato i generatori di corrente, apriamo i pozzi delle parrocchie e recentemente abbiamo creato centri di supporto per aiutare a superare i traumi della guerra, perché la popolazione ha visto di tutto. Eravamo arrivati a dare 20.000 pasti al giorno e a istituire una Study Zone, illuminata e riscaldata, un’enorme sala di studio per i ragazzi".

"Oggi ad Aleppo la comunità cristiana, prima di 180.000 persone, è ridotta a 40.000. Ma per farle rientrare in patria servono una casa e un lavoro. Abbiamo bisogno che rientrino, per ricostruire la Siria! E voi, non abbandonateci…".
 

Blessing, premio Dipartimento di Stato Usa per la sua testimonianza contro la tratta di esseri umani

«Vorrei che altre ragazze nigeriane potessero conoscere la mia storia - dice Blessing Okoedion - per vincere la paura e spezzare le catene invisibili di questa schiavitù. Dobbiamo unire le nostre voci per dire “basta” alla tratta di esseri umani».

«È capitato anche a me di essere una di quelle donne - ha raccontato a Washington -. Sono arrivata in Europa nel 2013 con un visto di lavoro di due anni. Ma era tutto un inganno. Quando sono giunta in Italia ho scoperto che l’impiego che mi era stato prospettato non esisteva. I miei sfruttatori mi hanno detto che ero in debito con loro di 65mila euro e che avrei dovuto ripagarli attraverso la prostituzione. In quel momento ho capito di essere caduta nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Grazie a Casa Rut di Caserta sono riuscita a rimettermi in piedi, a riconquistare la mia dignità e lottare per la libertà di altre donne e bambini africani, dicendo instancabilmente “no” alla tratta».
Blessing viene premiata dal Dipartimento di Stato a Washington. E il suo libro ora c'è anche in inglese. 
Il coraggio della libertà (con Anna Pozzi, Paoline, 2017), ora tradotto anche in inglese: The Courage of Freedom, 2018.

UNO STAGE, PER PRENDERE IL MONDO TRA LE MANI. Testimonianza

di Maria Rebecca Rossi
“Non imparerai mai tanto come quando prendi il mondo nelle tue mani”. E’ una citazione che ho molto a cuore, dello scrittore John Updike, due volte premio Pulitzer per la narrativa, e penso che non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni. Grazie all’esperienza nella redazione di megliounlibro ho avuto la possibilità di toccare con mano quello che ho imparato tramite la teoria e lo studio. Oltre ad aver sperimentato che cosa sia la responsabilità, ho avuto la fortuna di poter entrare in contatto con un mondo che mi era ancora sconosciuto, quello dell’editoria libraria, e ho letto testi, ascoltato autori, scrittori, professionisti del settore, partecipato a convegni, fiere e presentazioni: tutti elementi che adesso, alla fine di questo percorso, mi fanno sentire di possedere delle capacità che mi resta solo da affinare con il tempo.
La professoressa Prinetti è stata un’ottima guida perché ha dato il primo colpo di scalpello a un pezzo di marmo ancora informe spingendomi a fare tante cose, persino a mettere da parte la timidezza per parlare in diretta in radio, mentre la dottoressa Pineda mi ha mostrato, spronandomi, alcuni errori, per fare in modo che migliorassi il mio lavoro gradualmente, aiutandomi a bilanciare la mia personalità con la tecnica di scrittura adatta. Ora mi sento molto più sicura di me e con un bagaglio di conoscenze accresciuto, tale da farmi approcciare al futuro diversamente.
Artico è stato il libro che mi ha colpita di più durante tutto lo stage perché non ha bisogno di parole per raccontare la sua storia, in quanto le foto di Vincent Munier invitano alla riflessione e ad aprire gli occhi su come il mondo stia cambiando o, forse, regredendo. È stato il mio preferito anche perché, fin da piccola, ho sempre avuto la passione per la fotografia e la natura. L’evento, invece, più emozionante a cui ho partecipato è stato Tempo di Libri, perché, come ho detto prima, ho avuto la possibilità di osservare da vicino come si muove l’industria libraria, della quale ho cercato di comprendere le dinamiche che convogliano tutte nel prodotto così semplice eppure così ricco e complesso che tutti chiamiamo libro.
Mi preme evidenziare la cura per il lettore e la ricerca meticolosa di contenuti validi da veicolare da parte di tutti i membri della redazione: non è semplice in un periodo storico in cui, come sosteneva anche Eco, “si dà la parola (purtroppo) a tutti”, cercare nel mare magnum delle opere che abbiamo a disposizione quelle che possano lasciare qualcosa, che permettano di porsi interrogativi nuovi, che ci facciano guardare dentro, per poi prenderle con le pinze e riporle nelle mani di chi si affida a noi. E io nelle mie mani ho preso, come ho scritto sopra, tanti mondi quanti i libri che ho letto, cosa che ha contribuito a considerare l’esperienza in redazione un elemento essenziale non soltanto per la mia carriera universitaria, ma anche e soprattutto per la mia persona.

LA MIA ESPERIENZA A MEGLIOUNLIBRO: UNA GRANDE FAMIGLIA UNITA DALLA PASSIONE PER LA LETTURA

di Giulia Sciartilli 
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro”. Con queste parole Umberto Eco descriveva l’immensa forza della lettura. Ognuno di noi mentre sfoglia le pagine di un libro può essere non solo chiunque desideri, ma anche ovunque voglia. Incontriamo personaggi in cui ci immedesimiamo, posti inesplorati di cui nemmeno sapevamo l’esistenza. Così, spiegando le ali della nostra fantasia, inizieremo ogni volta un nuovo viaggio.
Fin da piccola la mia passione è stata la lettura, ma ancor di più la scrittura. E l’esperienza con la redazione di Megliounlibro mi ha permesso di coltivare entrambe le passioni – che con gli studi universitari avevo un po’ trascurato – in un connubio perfetto.

In questi mesi, sperimentando diversi tipi di linguaggio giornalistico - per la stampa, per il web o per la radio -, sono cresciuta e ho scoperto passo dopo passo cose che prima non conoscevo. Ho imparato molto su me stessa, innanzitutto a mettermi in gioco. Per noi giovani questo è importante perché non solo scopriamo le nostre potenzialità, ma capiamo anche qual è la strada giusta per noi.
Grazie ai consigli della direttrice Laura Prinetti, che mi ha accompagnato durante il percorso del tirocinio, sono uscita dagli “schemi” sciogliendo la mia scrittura. Quando ho iniziato a realizzare le prime recensioni, avendo dei limiti di spazio da rispettare, stavo ore e ore a pensare alla loro struttura, a come iniziare con un l’attacco o a come concludere con un bel finale. Perché brevità non è sinonimo di facilità… Ma con il tempo e con l’allenamento ho imparato a lasciare prima che i miei pensieri spiccassero il volo e solo in un secondo momento a riordinarli.

Sapere che le mie recensioni saranno d’aiuto per altri amanti della lettura mi riempie di gioia, e per questo ringrazio di cuore i singoli componenti della redazione per avermi dato quest’opportunità.

Ad oggi, augurerei a tutti di poter vivere un’avventura come la mia, circondati da persone che amano il loro lavoro e trasmettono la passione agli altri.

Un best seller da non perdere: "Mi vivi dentro"

Un best seller da non perdere: "Mi vivi dentro"
Wondy e Alessandro, la storia di un amore che va oltre il tempo
di Maria Rebecca Rossi

"Ho scelto di scrivere di noi perché mi faceva bene". Alessandro era un ragazzo timido e schivo finché, a Radio 24, non ha incontrato la donna che gli ha fatto vedere la vita con occhi diversi. Francesca, una di quelle belle persone che porta festa ovunque vada. Ma Francesca Del Rosso sei anni fa viene raggiunta da un brutto male e nonostante ciò non ha mai perso la voglia di sorridere e di vivere. La sua storia viene raccontata dal marito nel libro Mi vivi dentro, (DeA Planeta), presentato la sera del 26 febbraio al Teatro Dal Verme di Milano (e a Roma il 28).
Passi significativi sono stati letti da Gioele Dix, che ha saputo interpretare magistralmente quelle parole sì di sofferenza, ma di profondo amore, arrivando al cuore del pubblico. Presenti sul palco anche Umberto Brindani, direttore di Oggi, e Nadia Toffa delle Iene, la quale di recente aveva dichiarato in diretta tv di aver appena vinto il cancro.
“Il percorso del dolore: le persone si sono soffermate sulla parola dolore, io preferisco soffermarmi su percorso”. Oggi Alessandro Milan, raccontando di Wondy, (così soprannominata perché forte come Wonder woman), vuole assolutamente infondere energia a tutte le persone colpite dalla malattia per far sì che trasformino la sofferenza in una maggiore volontà di vivere, senza mai lasciarsi abbattere.
Anche se le metastasi le correvano per il corpo, Francesca non ha mai smesso di essere una moglie attenta, mamma amorevole di Angelica e Mattia, un’amica allegra, una giornalista curiosissimaa di indagare il mondo: la sua passione erano i viaggi intercontinentali, per conoscere culture e tradizioni di paesi lontani. Ora ha intrapreso un viaggio più lungo, senza ritorno, ma la sua presenza è reale. Come se non fosse mai andata via.
La lettera d'amore di Alessandro a Wondy aveva già commosso il web, con oltre 7 milioni di visualizzazioni.

Tempo di libri: l'amore per la lettura fa il pienone

Tempo di libri: l'amore per la lettura fa il pieno...
A Fieramilanocity la seconda edizione della Fiera del Libro

di Maria Rebecca Rossi
E’ l’evento giusto per gli amanti della lettura, "Tempo di Libri”, in quanto permette di vagare e curiosare tra un’immensa vastità di romanzi, classici, manuali, fumetti, albi illustrati per bambini e persino dizionari dei dialetti italiani, e di capire in quale direzione sta virando il timone dell’editoria (italiana, ma non solo). La manifestazione, organizzata da “La Fabbrica del Libro”, è stata ospitata dall’8 al 12 marzo in uno dei più nuovi e avveniristici quartieri di Milano, il Portello, con circa 43mila mq di esposizione.
In programma incontri con gli autori e ospiti che discutono e si concentrano su un tema centrale, diverso ogni giorno: la Fiera si è aperta con il tema della femminilità nella società di oggi e sono state ricordate le donne che hanno segnato la storia della letteratura, si è poi proseguito con la ribellione, a cinquant’anni dai moti del ’68, sabato la città di Milano è stata ospite d’eccellenza, e come questa sia stata raccontata nel tempo dagli scrittori e dai poeti, il tema dell’immagine con riferimento alle graphic novel e ai libri d’artista, fotografici o cinematografici, e si chiuderà con il mondo digitale, analizzando come sia cambiato il mondo dell’industria libraria con l’avvento delle nuove tecnologie.
Tra gli stand si respira l’odore dei libri e viene voglia di immergersi nelle pagine, per assaporare nuove storie e aprirsi a nuovi universi. 

Sempre, ovvio, quelli di alta qualità.
Una visita alla nuova edizione di Tempo di Libri è consigliata: le tendenze, gli autori in carne e ossa, le tante letture da noi segnalate e valorizzate dalla Fiera. Fa sempre bene stare tra i testi, belli o brutti. Si capisce che aria tira, dove soffia il vento del mercato e dove quello dell'arte. Se avete due ore fate un salto, come noi (NDR)
Questa volta la scommessa è stata vinta.

Poesie e colori d'Armenia

Poesie e colori d'Armenia
IN DIALOGO CON ANTONIA ASLAN 
di Giulia Sciartilli
Rimaniamo incantati da coloro che di fronte a immani tragedie sono riusciti a trovare un’ancora di salvezza, anche e addirittura nella poesia. E di essa hanno fatto la loro forza, nonostante tutto.
Antonia Arslannota scrittrice italiana di origini armene, è stata la protagonista di una conversazione con Alessandro Rivali presso il Centro Culturale di Milano, giovedì 1 febbraio, inaugurando il tour di presentazione di Benedici questa croce di spighe...” (Ares, 2017), antologia di scrittori armeni vittime del Genocidio.
“Questo libro – ha esordito Arslan – ha un grande merito: per la prima volta visivamente, emotivamente, la prospettiva non è stata solo quella di tradurre, ma di unire tutti insieme scrittori, giornalisti, poeti di quei 50 anni di storia”.
Infatti, gli artisti armeni hanno contribuito, sin dalla metà dell’Ottocento, al risveglio di una cultura che da secoli non aveva più voce, spinti dalla forte volontà di ricostruire le loro tradizioni. Molti di essi, tra cui Daniel Varujan, hanno studiato a Venezia (il Regno di Cilicia aveva uno stretto rapporto con la Repubblica di Venezia) dove entrarono in contatto con la cultura occidentale e con autori come Pascoli, Carducci e D’Annunzio.
Tutte quelle voci si spensero il 24 aprile 1915, quando il governo turco ordinò con l’inganno l’arresto dei principali esponenti della cultura armena nella capitale Costantinopoli.
 “Dopo il suo ‘volo’ sopra il paesaggio di questa poesia – ha chiesto Rivali ad Arslan – quali sono state le impressioni sui testi e sui loro colori?”.
Trattandosi di poeti mediorientali “i colori non possono che essere netti”, ha risposto Aslan. Nei testi c’è sempre un’oscillazione tra due estremi: la volontà di rinascita e la nostalgia per l’antico regno. E ha citato lo scrittore che apre l’antologia, Daniel Varujan, che nella raccolta di poesie “Canto del pane” propone sempre quest’immagine dell’aldilà con colori forti (rosso, blu) come se l’antica patria perduta fosse ancora là, ed anche oltre il cielo. Rivali lo ha definito il “Leopardi d’Armenia” poiché le poesie racchiudono echi leopardiani.
La raccolta (scritta durante la prigionia e ritrovata in seguito) è anche una testimonianza della lotta dell’artista-uomo che combatte il male con il canto. Un simbolo di resistenza, un inno alla vita. Arslan rivela di aver scoperto per caso questo grande poeta e di aver deciso di tradurlo.
La densa chiacchierata è stata seguita dalla lettura di poesie tratte dall’antologia. Tommaso Di Dio, poeta e autore della raccolta ”Tua e di tutti” (2014) ha letto “Benedizione”, (dicendo che ha scoperto la passione per la poesia armena dopo un incontro al cinema con “Il colore del melograno” )Daniele Gigli, premiato per il poema “Fuoco unanime”, ha recitato “Il carro di cadaveri”, che rappresenta la morte e fa percepire la presenza dello zefiro di Petrarca. Infine Massimiliano Mandorlo, autore di “Nella pietra”, ha analizzato gli elementi simbolici in “Croce di spighe”. Un percorso che ha voluto dar voce all’identità di un popolo e di un’autrice molto cara all’Italia, Antonia Arslan, che nel 2004 ha scritto il primo romanzo “La masseria delle allodole” (con trasposizione cinematografica) seguito da altre perle.

Il diario di Anna Frank si veste di InBook

Il diario di Anna Frank si veste di InBook
di Maria Rebecca Rossi

Del Diario di Anna Frank tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito parlare, in quanto entra di diritto nella cerchia di opere che sono state testimoni fondamentali della Seconda Guerra Mondiale. E proprio questo libro, per la sua importanza culturale e storica, è stato scelto per diventare il primo classico tradotto in simboli CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa) per i ragazzi affetti da disabilità linguistiche o cognitive, e quindi uno tra i primi a diventare INBook. L’INBook viene costruito mediante la traduzione delle parole in immagini sì semplici, ma che rispettino la trama e soprattutto la struttura morfosintattica del linguaggio.
Il Diario così rinnovato è stato presentato per la prima volta il 25 gennaio alla Casa della Memoria di Milano, ed è bello che sia stato scelto proprio questo luogo, perché il messaggio veicolato appare di grande apertura, perché intende moltiplicare la possibilità di comunicazione, interazione e informazione, rendendo la lettura un mondo accessibile davvero a tutti. Il tema dell’Olocausto è stato scelto per gli adolescenti ed i giovani adulti, da un lato per fare in modo che crescano con la consapevolezza che non bisogna mai dimenticare quanto accaduto, per mantenere vivo il ricordo e per evitare che tali atrocità non si verifichino mai più, dall’altro perché è giusto che ogni età abbia argomenti di lettura adatti e sempre vari.
Il metodo INbook è poco conosciuto nonostante esista in Italia da un decennio, ed è per questo che le Edizioni la Meridiana di Molfetta, il CDH/Accaparlante di Bologna e l’Associazione Arca Comunità di Granarolo, in collaborazione con l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), mirano a espanderne ancora le capacità: oggi nelle biblioteche di tutto il Paese ci sono già 340 titoli di narrativa tradotti con questo sistema. 

Premio Internazionale Eugenio Corti 2018

Premio Internazionale Eugenio Corti 2018
di Giulia Sciartilli  

Un evento a dir poco straordinario, quello al Palazzo Pirelli di Milano: il Premio Internazionale Eugenio Corti 2018, promosso del 17 gennaio dal Centro di ricerca “Letteratura e Cultura dell’Italia Unita” dell’Università Cattolica e dal Consiglio della Regione Lombardia. Eugenio Corti è stato un scrittore e saggista italiano, autore del best seller Il cavallo rosso (1983) I più non ritornano (1947), esperienza autobiografica della ritirata in Russia nel ’42.
A portare avanti la sua memoria soprattutto la moglie Vanda Corti (presidente dell’Associazione Eugenio Corti), senza la quale questo premio non sarebbe nato. “L’anno scorso – racconta -, in occasione del convegno in Cattolica, avevo sentito parole importanti su Eugenio e mi è venuta l’idea di dare inizio a questo premio per gli studenti, per invogliarli ad avvicinare le sue opere, a studiarle e raccoglierne i frutti”. Molte sono infatti le testimonianze di lettori che hanno sentito il bisogno di ringraziare questo autore, non solo perché avevano avuto la possibilità di una lettura coinvolgente, ma anche perché avevano trovato spunti unici di riflessione su di sé, sulla Storia e il mondo.
Raffaele Cattaneo, presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, ha sottolineato tale aspetto parlando de Il cavallo rosso: “Ha raccontato il segno di un tempo con una forza d’animo che pochissimi altri hanno raggiunto”. François Livi, professore emerito della Sorbona di Parigi e il maggiore studioso mondiale di Eugenio Corti, lo definisce “un maestro per i nostri giorni” approfondendo tre aspetti della sua personalità, che si fondono: il testimone, lo scrittore, il profeta. Come si nota nei testi sentiva la necessità di testimoniare, ma anche di cogliere l’avvenimento e interpretarlo, raccontarlo attraverso un “realismo astratto”, come un profeta solitario che ricerca negli eventi il significato della vera storia, alla luce della fede.
Il primo convengo su Corti si tenne alla Sorbona nel gennaio 2016, con il titolo “Le récit par images: Eugenio Corti”. Ne ha parlato la sua biografa Paola Scaglione. Il titolo puntava l’attenzione sulla categoria delle immagini: la visualità è il tratto distintivo di un poeta-pittore che traduce le immagini in significato. Il secondo convegno cinque mesi dopo, alla Cattolica: “Al cuore della realtà: Eugenio Corti scultore di parole”. Gli atti sono stati pubblicati da Interlinea, ed Elena Landoni ne è la curatrice. Il titolo indica che per Corti, amante del Medioevo (allora si usava il termine facere per indicare la scrittura: “lavorare la materia”), la materia sono le parole. Giulia Tanel, giornalista, ha esposto la prospettiva medievale esponendo parti della sua tesi magistrale. Corti aveva di quell’epoca una certa nostalgia perché convinto della sua eredità, soprattutto in termini di fedeltà al Cristianesimo. Attesissimo il momento conclusivo con i premiati: Alessandro Rivali, curatore del testo Io ritornerò. Lettere dalla Russia (1942-1943), ha narrato della scoperta di scritti che sembravano perduti, Andrea G. Sciffo con La Milano del Conti, e le tesi di Silvia Isella “Il cavallo rosso” di Eugenio Conti: un romanzo apocalittico e Miriam Pansera “Il cavallo rosso” e la formazione culturale di Eugenio Corti. Il tutto accompagnato dalla voce di Ettore Florina, che ha concluso con la lettura di un brano tratto da Gli ultimi soldati del Re.

ARTICO

ARTICO
ALLA SCOPERTA DEL GRANDE NORD, ARTICO
di Maria Rebecca Rossi
"Artico" è l’ultimo lavoro di Vincent Munier, frutto di sei viaggi, tra la Scandinavia e il Canada, dove il fotografo ha immortalato orsi polari, civette delle nevi, buoi muschiati e soprattutto i lupi bianchi, i cosiddetti fantasmi della tundra, come vengono chiamati dagli Inuit. Lunedì 4 dicembre, al Centro Culturale di Milano, siamo stati alla presentazione. Munier è un artista umile e rispettoso della natura, che ama fin da bambino: appena dodicenne, il padre gli mise al collo una macchina fotografica per permettergli di imprimere su carta ciò che si trovava oltre le pareti di pietra che scalava con i fratelli, e da quel momento non se ne è più separato.
Totalmente autodidatta, ha lasciato gli studi a 20 anni per inseguire il sogno di scoprire il mondo e mostrarlo a tutti. Il volume non ha alcun testo, non ne ha bisogno. Le foto sono così emblematiche da arrivare al cuore senza il supporto nemmeno di una didascalia. È un diario di viaggio in due parti: nelle prime immagini è prevalente il bianco candido e pungente delle distese innevate, ma via via che si sfoglia prende piede una sfumatura di grigio che si concretizza, verso la fine, in rocce nere e scarne.
Ed è proprio grazie a questo percorso di colori contrastanti che l’osservatore afferra il messaggio ecologico che il fotografo vuole comunicare: l’intento è suscitare un’emozione per sensibilizzare alla protezione della natura e dei suoi territori che l’effetto serra e il surriscaldamento globale stanno facendo scomparire. Negli ultimi scatti ci viene mostrato quello che sta accadendo: l’orso sulla roccia nuda rappresenta la devastazione portata dall’intervento dell’uomo nel Grande Nord.
Concludendo la presentazione, Munier ha anticipato qualcosa del suo prossimo lavoro: è stato in Tibet alla ricerca della pantera delle nevi, animale dalla bellezza disarmante, che vive a 4000 metri di altitudine.


Latino e greco? sì grazie

Latino e greco? sì grazie
NELLO SPECCHIO DEI CLASSICI
di Giulia Sciartilli 
In occasione di Bookcity Milano, nella libreria dell’Università Cattolica, il 16 novembre si è affrontato il tema della classicità. “Perché abbiamo bisogno dei classici: in difesa dal greco e del latino” questo il titolo del dibattito in occasione dell’uscita del saggio Ritorno ai classici, per Vita e Pensiero.
Philippe Daverio, Aldo Grasso e Antonietta Porro (autrice di uno degli articoli della raccolta) hanno esposto le loro opinioni su un tema oggi scomodo per molti. Qualcosa però rincuora: quando si parla in difesa della classicità e degli studi umanistici, si trova sempre un accordo, una sorta di urgenza nel preservare una cultura che geneticamente ci appartiene. Guardando nello specchio della classicità, infatti, troveremo la nostra immagine riflessa.
Ma qual è oggi il modo migliore per affrontare le lingue classiche? C’è un problema di fondo, che Daverio esprime schiettamente: “Gli italiani non sono più in grado di affrontare la classicità in quanto quella che viene offerta non è più percepita come un oggetto di formazione oggettiva”. Se oggi la classicità non è al primo posto tra le preferenze delle nuove generazioni significa che quella che viene offerta non è attraente. “In quest’ottica – continua Daverio – bisognerebbe avere il coraggio di mettere in discussione la formazione”.
Gli insegnanti dovrebbero aprirsi a strategie innovative in modo da motivare gli studenti ad una comprensione del mondo antico per cogliere ciò che ci accomuna. Questo passaggio è possibile solo attraverso lo studio della lingua che, come dice la prof. Porro, è “una chiave di ingresso”, per accedere alle civiltà.
Oggi non possiamo non chiederci se esista una classicità nei media. Aldo Grasso dice che la risposta è semplice: “Leggere i testi antichi è come vedere un film in bianco e nero”. La classicità in televisione riguarda il tempo, passati venti o trent’anni tutto diventa classico, perché c’è un effetto di nostalgia.
Dovremmo guardare al passato senza indifferenza. E Giuseppe Pontiggia in un dibattito sull’attualità dei classici ad un certo punto esclamò: “Piantiamola di parlare dell’attualità dei classici e chiediamoci piuttosto se noi siamo alla loro altezza”.

Incontro con l’autrice Rosa Tiziana Bruno. Lettura a Scuola e Legalità

di Francesca Canto 

“Nulla si fa se non c’è gioia, e ciò non esclude che ci sia anche fatica…”. Così Rosa Tiziana Bruno inizia a parlare del suo lavoro nell’incontro del 28 febbraio con 120 studenti di I media – divisi in due gruppi – dell’Istituto Comprensivo di via de Andreis a Milano. Si tratta del momento focale di un progetto realizzato dall’Associazione Il Segnalibro Bcs per la scuola, “Scegli un libro. A tu per tu con l’autore”, che prevedeva un incontro con la redazione di megliounlibro, la scelta di un testo, la lettura, sulla scia quest’anno dell’Educazione alla Legalità. E finalmente l’arrivo e l’intervista dei ragazzi all’autore…
Rosa Tiziana è una scrittrice che in Un ribelle a Scampia, il suo ultimo libro per ragazzi, coniuga la tematica del disagio minorile della periferia di Napoli con la voglia di riscatto dei suoi giovani abitanti. Ma prima di entrare nel merito del testo, che loro hanno appena finito di leggere in classe, lei parte dalla sua passione per lo scrivere e il leggere.…
“Leggere e scrivere necessitano gioia”, continua, e sarà proprio la lettura ad assumere un ruolo primario nel romanzo. Essa, infatti, fa da chiave nella porta per uscire da un mondo criminale, dove il destino pare una strada a senso unico, senza vie di fuga.
Un ribelle a Scampia è un collage di storie diverse, realmente accadute, che confluiscono in un'unica narrazione. E’ nato dall’esigenza di mettere in luce un’altra parte di Scampia, che non è soltanto un quartiere di malavita ma un posto in cui vivono persone che, in quanto tali, “non andrebbero mai etichettate come barattoli”. R. Tiziana Bruno spinge ad andare oltre gli stereotipi, provando ad osservare le cose nella loro totalità, piuttosto che soffermarsi su verità parziali e riduttive. “Per questo è importante della lettura”, fonte inesauribile di conoscenza e lente di ingrandimento che ci permette di cogliere le mille minime sfaccettature che ci sono nella realtà (non meno rilevanti).
Ed è proprio grazie alla lettura che Nicola, protagonista del racconto, riesce a liberarsi dalla routine che lo teneva incatenato alla sua famiglia di ladri e all’idea che non ci sia un’alternativa alla delinquenza. Perché la lettura dà apertura alla mente ed “è punto di partenza per mutare le cose e rendere il mondo che ci circonda un posto migliore”, insiste la Bruno.Il romanzo è un invito ad informarsi, a porre l’attenzione sulle periferie sociali e geografiche ignorate da tutti, evitando che il benessere sia esclusivo per pochi.  E soprattutto è un’incitazione a leggere perché attraverso la lettura si arriva ad essere più liberi.

Zero Positivo: quando la scrittura canta l'amore alla vita

Zero Positivo: quando la scrittura canta l'amore a...
di Francesca Canto

Cristina Marginean Cocis parla con la stessa delicatezza che scandisce il ritmo della sua scrittura, dove solo a tratti si percepisce l’accento della Romania, la sua terra, quella che fa da sfondo a questa storia triste e felice insieme. Felice perché alla fine la vita vince.
Siamo alla presentazione a Milano del suo primo libro, Zero Positivo, la storia di una donna che lotta per la vita e per quella del figlio che porta in grembo. E’, in definitiva, la sua storia.
“Questo libro nasce da un’intenzione, bisogna curare le proprie intenzioni, perché tante volte un’intenzione può tenerci in vita”: inizia così il racconto di questa donna che è mamma, insegnante, scrittrice. 
Era incinta del secondo figlio quando le fu diagnosticata la leucemia, una prognosi infausta quella dei medici di Udine, la città in cui vive da quando nel 1999 si è trasferita in Italia; poche forze ma abbastanza per affrontare la chemio. “Decisero di invertire il primo ciclo di chemio con il secondo, ma era come buttare una goccia d’acqua in un mare di veleno”.
Invece ce l’ha fatta, ha schiacciato la malattia, ad aiutarla in questa battaglia la fede e l’amore dei suoi cari, in particolar modo del padre, colui che fece di tutto per mettere le ali alla sua libertà, in un paese in cui non era facile essere donna (“né essere uomo”, dice lei). Un modello che le ha dato il coraggio di lottare contro il male senza arrendersi.
C’è, infatti, un parallelismo tra il suo isolamento dovuto alle cure e quello del padre, rinchiuso ingiustamente in prigione durante la dittatura comunista di Ceausescu.
“Ho fatto un cammino a ritroso per capire come mio padre era riuscito a sopravvivere senza perdere la testa e mi dicevo che se lui ce l’aveva fatta, potevo farcela anche io”.
Una storia difficile, che si conclude con la pubblicazione del romanzo e l’inizio di altre nuove storie. A lieto fine.

 

Testimonianza di Sofia sullo stage con la redazione di megliounlibro

di Sofia Macchi
Da piccola dicevo di voler diventare una scrittrice. Ho sempre avuto un amore incondizionato per le parole, quelle cariche di emozioni, quelle che raccontano storie straordinarie, quelle che straripano da dentro. E accanto alla scrittura, la lettura è diventata presto uno dei miei principali passatempi, oltre che una grande passione. Ho sempre divorato libri dei generi più svariati, purché riuscissero a trasportarmi in un’altra dimensione facendomi immergere completamente nella storia, lasciandomi per un attimo svuotata alla fine dell’ultima pagina, un po’ come quando si ritorna dopo un viaggio meraviglioso.

L’opportunità di realizzare uno stage nella redazione di Megliounlibro, quindi, non poteva essere più adatta a me.

Ho avuto l’occasione di approcciarmi ai libri in una maniera del tutto nuova, con una lettura ancora più approfondita, attenta al dettaglio, mai superficiale. Pensavo di sapere già tutto sui libri, ma di fronte alla prima recensione da fare mi sono accorta che dare un giudizio il più possibile oggettivo e puntuale su diversi elementi non è per niente semplice o immediato. Mi sento quindi di dire che ho imparato moltissimo in questi mesi, a partire dal redigere recensioni corrette, che non siano propagandistiche né dozzinali, ma originali, e con il solo obiettivo di consigliare i lettori verso una degna direzione.

Ho da subito condiviso la linea della redazione, intenta a promuovere anche nuovi autori e letture più ricercate, non solo le più commerciali. Ho capito fin dall’inizio che il lavoro di Megliounlibro va in profondità, scava nella vastità estrema dell’offerta di prodotti editoriali, per far emergere solo le vere perle, quelle che brillano di luce propria, non per il riflesso di un nome o di una pubblicità. Nonostante la maggior parte del lavoro sia stato svolto “da remoto”, mi sono sempre sentita affiancata durante il percorso da persone capaci, professionali e che amano il progetto che portano avanti da ormai vent’anni, riuscendo a trasmettere questa passione alle nuove reclute come me.

Ho avuto modo di confrontarmi con diverse esperienze, incontrando autori, partecipando a presentazioni di libri, scrivendo articoli; mi sono poi misurata con recensioni di generi disparati, dai romanzi alla letteratura per l’infanzia, dai saggi al fantasy per ragazzi.

Sono cresciuta, sia nella lettura che nella scrittura, grazie ad un’esperienza culturale, umana, e professionale davvero piacevole.

Un grazie è doveroso, ma probabilmente insufficiente, per dimostrare la mia soddisfazione e la mia gratitudine.

Sofia Macchi

Da ALEPPO: cronache di guerra e di speranza

Da ALEPPO: cronache di guerra e di speranza
Ibrahim Alsabagh
UN ISTANTE PRIMA DELL’ALBA
Edizioni Terra Santa, 2017
pp. 242 - € 16,00

Si apre con un solenne… raffreddore preso nella gelida chiesa latina di San Francesco d’Assisi la palpitante testimonianza di un parroco speciale che, giorno per giorno, racconta i suoi due anni tra le macerie materiali e umane di Aleppo, seconda città della Siria resa martire da mesi di assedio tra bombe e cecchini. La povertà, la fame, le malattie sempre in agguato a completare l’opera di distruzione. Padre Ibrahim, con i confratelli e i pochi fedeli rimasti, ha invece iniziato subito a costruire, e ricostruire: aiuti concreti, ma soprattutto rafforzare rapporti di fiducia, di solidarietà, di speranza.
Attraverso una sorta di newsletter, con messaggi ma anche con incontri durante fugaci puntate fuori dalla Siria, padre Ibrahim è diventato icona e voce della perseveranza nella fede del “piccolo gregge” di Aleppo, e insieme testimone diretto degli orrori di una guerra che ancora divampa, anche se per la sua città sembra giunta l’ora di una faticosa rinascita. Alcuni brani di questo libro sono state offerte alla riflessione del Papa e dei cardinali presenti agli esercizi spirituali per la Curia romana, provocando una reazione commossa e generosa, a sostegno di quella comunità crocifissa. Un motivo in più per addentrarsi in queste pagine.
Marco Bertola


A 20 anni dà lezione di accoglienza

A 20 anni dà lezione di accoglienza
Daniele Biella
NAWAL
L’angelo dei profughi
 
Paoline, 2015
pp. 144, € 13,00
 
 
Che ragazza! Di origine marocchina, musulmana, parla arabo e siciliano, Nawal ha solo 27 anni. Studentessa di Scienze Politiche, attivista per i diritti umani. Dopo un’esperienza come reporter per documentare la guerra siriana, è tornata in Sicilia, amatissima terra in cui era giunta bambina, a lavorare come mediatrice culturale e interprete nei tribunali.
Una notte, improvvisamente, una telefonata: la richiesta di aiuto da un barcone di profughi dispersi nel Mediterraneo, l’idea di rivolgersi alla Guardia Costiera, il salvataggio di persone che rischiavano un naufragio.
E da qui altre telefonate, originate da un inspiegabile passaparola di chi sa individuare una persona brava ma anche vigile e attiva. Chi l’ha cercata ne ha determinato la vocazione.
Questa è la sua storia incredibile, nella quale ha coinvolto altri, in una efficacissima catena di solidarietà. La resistenza fisica nonostante la sua gracilità, il coraggio con cui si è esposta a forti rischi, l’autorità calorosa con cui ha guidato uomini, donne e bambini verso una nuova vita, ne fanno un’eroina rigorosa e umanissima. Orgogliosa e felice di essere italiana, ha dato lustro al nostro Paese.
Un libro di forte impatto emotivo. Commovente. Valido per tutti, dall’adolescenza in poi.
Alessandra Compostella

Un ricordo

Un ricordo
Joaquìn Navarro-Valls
A PASSO D’UOMO
Mondadori, 2009
pp. 250, € 18,50
 
Partiamo dal fondo. L’indice dei nomi si apre con Abu Mazen, poi vengono Agostino e Ahmadinejad. In chiusura: Wyszynski, infine Zapatero. In mezzo c’è la storia di oltre vent’anni, attraversata da un Papa, Giovanni Paolo II, che ne è stato protagonista a tutto tondo e raccontati dall’uomo che egli chiamò al suo fianco come direttore della Sala Stampa della Santa Sede, dal 1984 al 2006.
Navarro ha raccolto alcuni degli interventi che ha scritto, cessato l’incarico vaticano, per il quotidiano “la Repubblica” e li ha integrati con riflessioni e testimonianze inedite, raccogliendo il tutto in capitoli tematici che non rispettano necessariamente un ordine cronologico, ma aiutano a “fare il punto” su personaggi e questioni in primo piano negli ultimi decenni. Da Madre Teresa a Gorbaciov, da Fidel Castro a san Josemaria Escrivà. Il tono e il ritmo dello scrivere riportano immediatamente all’uomo che centinaia di volte, nella gioia e nel dolore, si è visto e udito parlare in televisione.
“A passo d’uomo”, senza inutili accelerazioni o polemiche, con la chiara visione del cammino da compiere, ragionando sul vivere quotidiano (l’uomo, la modernità, la laicità, i valori…) e narrando gli incontri offerti dalla Provvidenza a viandanti d’eccezione.
Marco Bertola

Il bene trasformato in male

Khaled Fouad Allam
IL JIHADISTA DELLA PORTA ACCANTO
Piemme, 2015
pp. 146 - € 15,90
 
La dedica: “A mia madre e mio padre, che mi hanno insegnato un altro islam”. Studioso, docente, sociologo algerino ora stabilmente in Italia, Fouad Allam ripercorre la vicenda di quello che lui ritiene il capostipite del terrorismo islamico di radice europea, tale Khaled Kelkal ucciso dalla Polizia a Parigi il 29 settembre 1995: una vicenda personale di disagio e disadattamento, sfociata nel crimine, nella carcerazione e nell’indottrinamento estremista. L’Autore racconta di un ritaglio di giornale messo da parte vent’anni fa con il proposito di approfondire, un giorno: “Se la pagina è ingiallita, la storia non lo è” e quel vecchio foglio riappare “con un’attualità preoccupante, in un mondo inquieto e impaurito da un fenomeno che gli sfugge”. Così il caso personale viene contestualizzato e ampliato, fornendo a noi una complessa griglia interpretativa. Richiamando un tema catalizzatore del radicalismo islamico, quello dell’unicità della comunità dei credenti, egli spiega: “Il jihad ha dunque per oggetto un diritto di Dio, quello della sottomissione del musulmano e, alcuni affermano, della sottomissione a Dio dell’umanità intera ed è per questo motivo che nei testi dell’Isis si insiste sull’affermazione di un califfato mondiale”. Si parte da qui, per capire.
M.B.

 

Ostaggi in Siria, la voce dei sopravvissuti

Domenico Quirico - Pierre Piccinin da Prata
IL PAESE DEL MALE
Neri Pozza, 2014
pp.176, € 15,00
 
Quirico, inviato della Stampa, e Piccinin, studioso belga di questioni mediorientali, hanno condiviso in Siria, dall’aprile 2013, 152 giorni in ostaggio di bande armate che scorazzano, torturando e massacrando. Il libro, scritto a capitoli alterni, è la testimonianza vibrante di ore vissute tra attese e paure, tra rabbia e preghiere.
Quirico, una volta riacquistata la libertà, in mille testimonianze – dalla prima, immediata, sul suo giornale agli incontri pubblici – ha fatto di quell’esperienza una sorta di paradigma dell’approccio alla professione giornalistica, di cronista che per raccontare condivide, fin negli abissi oscuri, la realtà che descrive: “Per conoscerlo, il Male, venite con me nelle stanzette sudice, nelle luride prigioni... Conoscerete gli uomini che mi hanno umiliato in quanto occidentale e in quanto cristiano...”. Non si è lasciato piegare e, pur duramente provato, ha ricominciato a vivere, a lavorare, a credere. Ancor più problematica la testimonianza dell’altro rapito-autore: “Il mio impegno è sempre stato per la giustizia, la verità e l’uomo. Non so se tutto ciò ha ancora senso (...). Penso tuttavia che tenterò di ricostruire ciò che ho perduto; forse tutto non è completamente morto”.
Un libro di drammatica attualità e dolorosa profondità. Da non perdere.
Marco Bertola

 

Persecuzione dei cristiani: non è una novità.

Persecuzione dei cristiani: non è una novità.
Presentazione di
Qui s’en souviendra? 1915: le génocide
assyro-chaldéo-syriaque, di Joseph Yacoub, Editionducerf 2015
 
Milano, 19 mar - La Sala Negri da Oleggio dell’Università Cattolica di Milano è stata teatro di civiltà con il seminario, voluto dal dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’arte e dal Prof. Agostino Giovagnoli e intitolato
Cristiani in Iraq 1915-2015”.
Presenti studiosi e ospiti illustri: S. E. Card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e nunzio presso Baghdad e Teheran; Mario Giro, sottosegretario per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, il Prof. Giorgio Del Zanna, l'autore dello studio e il giornalista Luca Geronico. Moderatore Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.
In questa cornice è stato presentato
QUI S'EN SOUVIENDRA? 1915: le génocide assyro-chaldéo-syriaque, di Joseph Yacoub, docente e di Scienze politiche all’Istituto dei diritti dell’uomo dell’Università Cattolica di Lione e specialista in minoranze nel mondo, diritti dell’uomo e dei cristiani d’Oriente.

“Chi si ricorderà?”, è la domanda nel titolo del libro. “Dove non c’è memoria è più facile che gli errori della storia si ripetano”. E’ stato questo il filo conduttore dell’intero incontro. Una memoria, quella invocata da Yacoub, necessariamente legata e alimentata dalla conoscenza: perché non si può ricordare ciò che non si conosce. “La morte di oltre 250mila assiro-caldei uccisi per mano dei turchi nel territorio turco-persiano ha segnato non solo un genocidio fisico e religioso, ma anche e soprattutto un massacro politico e culturale”, ha spiegato. Ancor prima dei fratelli armeni, gli assiro-caldei furono privati della cultura, delle case, delle chiese e infine della vita stessa; ancor prima di essere dimenticati vennero derubati della loro storia nell’atroce finalità di omologare tutto in quello che era rappresentato dall’Impero turco.
Il testo (in lingua francese), superando accuse e retoriche, si propone come un forte e documentato monito a non dimenticare. E prima ancora fa appello alla coscienza, anche alla nostra.
Annamaria Gigatti

Enrico Fedocci: come lavora un cronista.

Enrico Fedocci: come lavora un cronista.
MILANO - Enrico Fedocci, giornalista di Mediaset, è stato invitato a tenere una lezione-testimonianza all'interno del Master in Media Relations dell'Università Cattolica di Milano.

Dopo aver iniziato la sua attività da giovanissimo per una testata locale, Fedocci è entrato nella sezione motori del Corriere della Sera. La svolta per la carriera è arrivata con il passaggio a Mediaset, dove ha iniziato a lavorare nella redazione di Studio Aperto, con Mario Giordano direttore. In campo televisivo, ha potuto finalmente occuparsi di cronaca – il suo interesse primo – ed è diventato uno dei volti più noti dei tg e dell’informazione di Mediaset.

Nel suo intervento, Fedocci ha delineato gli aspetti che a suo parere dovrebbero contraddistinguere un giornalista di cronaca nera. È fondamentale cercare il distacco “rispetto alla storia e ai personaggi della vicenda” da coprire. “Da questo punto di vista – ha spiegato – il giornalista è come un chirurgo. Se si lascia coinvolgere, rischia di non far bene il suo lavoro”. Ma non è semplice: l'inviato è catapultato completamente all'interno della realtà che deve raccontare. Si trova a vivere a stretto contatto con i protagonisti. Che sono persone, tutte da rispettare. Il suo scopo è informare, tenendo ben presente il confine tra ciò che può essere riportato e ciò che no. Nel corso della sua esperienza, Fedocci si è trovato più volte a scegliere di non divulgare una notizia per non interferire con le indagini. Il giornalista non dovrebbe anteporre la ricerca dello scoop all'operato delle forze dell'ordine. nè al rispetto per la dignità di ogni persona.

Può anche capitare, però, che l'intuizione di un cronista porti verso uno sviluppo investigativo. Proprio Fedocci, di recente, è riuscito a rintracciare un amico di Claudio Giardiello – il responsabile della strage al Tribunale di Milano – e ha scoperto che l'uomo diceva già da tempo, come in una cantilena, di voler “far fuori tutti”, nipote incluso. Un'esclusiva che riporta in luce un altro tema dibattuto: è opportuno intervistare, in occasioni di eventi criminali, parenti e amici di vittime e indagati? Per quanto sul piano morale possa apparire come un discutibile modo di operare, il caso dimostra che può anche essere d’aiuto. E il cronista, oltretutto, deve sempre cercare di approfondire la vicenda in tutte le angolature. Dar voce a chi è stato coinvolto, direttamente o indirettamente, fornisce un nuovo punto di vista.

A proposito di Fedocci e di esclusive, il giornalista Mediaset ha realizzato nei giorni scorsi un'intervista che ha avuto enorme risalto sui quotidiani e soprattutto sul web. Nel corso degli incidenti di Milano il 1 maggio 2015, è riuscito a raccogliere le dichiarazioni di un manifestante No-Expo, M. S.
“Volevo avere qualcosa in mano per spaccare qualcosa”, una delle tante frasi emblematiche dell'intervista. Il ragazzo ha espresso idee confuse sulle motivazioni che lo hanno spinto a partecipare. Anzi, è sembrato più coinvolto dalla violenza che dall'effettiva contestazione nei confronti dell'Expo. Questi aspetti del suo discorso, uniti al linguaggio ricco di espressioni gergali (o di parolacce vere…), hanno scatenato l'ironia di chi ha guardato il video sul web. Ne è scaturita una parodia, con il giovane “intestato” da un altro che interpreta la parte di Fedocci e analizza eventi storici utilizzando il lessico del manifestante. Una metafora impressionante…
I genitori del ragazzo, nel frattempo, hanno chiesto scusa.
Filippo Antonelli

Sudamerica, bellezza e contraddizioni di un Continente da capire.

Sudamerica, bellezza e contraddizioni di un Contin...
INTERVISTA A LUCIA CAPUZZI
 
Lucia Capuzzi è nata a Cagliari nel 1978 dove si è laureata in Scienze Politiche, in seguito ha conseguito un dottorato di ricerca in Storia dei Partiti e dei Movimenti Politici presso l'Università di Urbino. Ha poi frequentato a Milano la Scuola di Giornalismo dell'Università Cattolica. Dal 2004 svolge l'attività giornalistica, inizialmente ha lavorato per il Tg Leonardo della Rai, attualmente lavora nella redazione esteri di Avvenire occupandosi nello specifico della realtà latinoamericana.
 
Che cosa significa per lei fare la giornalista?
Ogni persona ha un qualcosa dentro, una vocazione che la spinge verso un determinato percorso; a me piace raccontare e ogni cosa che faccio, ogni persona che incontro, ogni esperienza che vivo la vedo come una storia da raccontare.
 
Un binomio particolare: giornalismo e Sud America. Come li abbina?
Il Sud del mondo, a differenza dell'Occidente, è libero da molte di quelle sovrastrutture che oscurano, nascondendole, le radici sociali delle popolazioni.  Sentimenti come gioia, odio, amore sono percepiti in maniera più sincera, più viva mentre in Occidente la società risulta essere come disseccata. La differenza sostanziale sta nel fatto che, nonostante il Sud America sembri una realtà disperata e senza una possibile prospettiva…, è popolato da persone innamorate della vita, come forza vitale, come il sogno che essa rappresenta. Mentre gli occidentali appaiono cristallizzati, rassegnati nel presente i latinoamericani credono nel futuro. È questo il miracolo del Sud America, la sua vitalità, ti permette di vedere il mondo da un'altra prospettiva.
 
Come si vivono e descrivono realtà difficili come quella del Messico di oggi?
Per descrivere il Messico devi essere molto motivato, è questione di rispetto per la realtà e per le persone che intendi raccontare, questo significa eliminare ogni forma d sensazionalismo; il Messico non è solo sangue e cocaina, voglio raccontare il sogno di quelle persone, esse sono piene di dignità e questa deve assolutamente essere raccontata. Quando si entra in contatto con realtà come quella messicana sono necessari molta organizzazione e spirito di adattamento, le persone che incontri sul tuo cammino ti danno fiducia e questa fiducia non va tradita, rischiando magari di metterle in pericolo; non scrivo per estorcere notizie, il mio giornalismo è incontro.
 
Lei è appena rientrata da un viaggio sulle orme di Jorge Mario Bergoglio. Quali sono i valori che l'Argentina trasmette insieme al nuovo pontefice?
Il Papa è sia Latino che Argentino quindi da una parte ha vissuto sulla sua pelle i problemi del Sud del mondo e porta la voce di quelle persone sul pulpito di Roma, all'attenzione del suo immenso auditorio, dall'altra è Argentino. L' Argentina è da sempre “terra di mezzo” fra la realtà latinoamericana e quella occidentale; essa è un laboratorio che anticipa tanti dei problemi che l'Europa vive odiernamente, la crisi economica per esempio è arrivata in Argentina a cavallo fra il 2001 e il 2002, Papa Francesco questa crisi l’ha vissuta e può affrontare quella “nuova”, occidentale, non solo con la forza morale ma anche con l'esperienza dell'esempio che dona maggiore speranza nel futuro.
 
Lo sentiamo spesso definire “il Papa povero”. Qual è il suo parere?
Bisogna chiarire il concetto, la sua povertà non è quella pietista che si tende a far credere, è una tradizione religiosa latinoamericana che si è sviluppata negli ultimi 60 anni. “La scelta preferenziale per i poveri” deriva dalla presa di coscienza delle abominevoli disuguaglianze che affliggono il Sud America; questa consapevolezza ha provocato un cambio di prospettiva da parte della Chiesa latina che si è totalmente immersa in questo sedendosi al fianco dei poveri, facendo loro capire che non erano soli, qualcuno stava cercando di aiutarli e lo faceva con una prima importantissima dimostrazione, condividendo la loro sofferenza. Quello del Papa non è uno “stile” umile e austero ma un valore di aiuto che lo porta a domandarsi quotidianamente come può, con il suo comportamento, aiutare chi soffre. La risposta è nuovamente nell'esempio della condivisione. La povertà non è un problema di alcuni, è di tutti, perché se siamo tutti figli di Dio siamo anche tutti fratelli.
 
Che cosa consiglia ai giovani, per raggiungere i loro obiettivi?
Non è vero che non c'è futuro, è solo questione di tempo; bisogna credere in ciò che si vuol realizzare investendo le proprie energie sul lungo periodo.
 
Intervista a cura di Marco Maiolino
 
 
  

L'ITALIA deve farcela!

L'ITALIA deve farcela!
Roger Abravanel – Luca D’Agnese
ITALIA, CRESCI O ESCI!
Garzanti, 2012
pp. 168, € 9.90 
“Up or out”: è stato da sempre il motto dell’azienda in cui i due autori hanno lavorato. Chi non riusciva a crescere professioalmente lì, era meglio che provasse ad accettare un’altra sfida altrove. Perché non applicare il motto anche all’azienda Italia, propongono loro? “Il problema – Monti lo sa bene e lo ha detto a chiare lettere – è che la crescita in Italia è bloccata da anni e ci vorrà del tempo per spezzare le incrostazioni, soprattutto culturali, che bloccano lo sviluppo della nostra economia”. Noti per i precedenti Meritocrazia e Regole, gli autori stavolta sostengono che siamo caduti in stantii pregiudizi da cui dobbiamo alleggerirci, e poi lanciano proposte su lavoro, tasse, giustizia, spesa pubblica e istruzione. Il filo conduttore è sempre quello: il cambiamento può partire a patto che si applichino le regole e si instauri una meritocrazia; così si semina “cultura della crescita”. Ce n’è per tutti, perché l’età – si sa – non è questione anagrafica - ma in particolare piacerà ai giovani leggere il loro “manifesto” con consigli come: cercare la migliore istruzione, non avere paura dei fallimenti (anzi accettarne i benefici nascosti), iniziare a… ”restituire”. Un must che si legge in un pomeriggio e invita a non deprimersi...
Laura Prinetti

Grazie a "don Sandro" da chi è stato suo studente in Cattolica. Non la dimenticheremo!

Grazie a "don Sandro" da chi è stato suo studente ...
Alessandro Maggiolini
IL CAMMINO EDUCATIVO
Ares, 2008
pp. 80, € 11
 
Educare significa “introdurre un soggetto umano alla realtà”. La realtà del mondo esterno e quella che è dentro di lui.
Alessandro Maggiolini - già vescovo di Como, prima di Carpi e prima ancora docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica - di persone ne ha educate tante e ora può dire la sua sull’emergenza educativa, svelando la prospettiva: si tratta di “condurre la persona stessa a diventare ciò che è, vale a dire a sviluppare le virtualità che possiede come patrimonio assolutamente unico e irripetibile. Il che è dono e impegno”. Osservare, diremmo quasi studiare, il soggetto per conoscerlo bene e capire da dove iniziare ad aiutarlo, perché sia e dia il meglio di sé.
Alcuni consigli a chi educa, in breve? Recuperare la dimensione autentica dell’autorità (in famiglia, a scuola, nella Chiesa), recuperare il gusto di trasmettere la verità (individuando i danni reali del relativismo odierno), aver chiari i difetti della pseudo-democrazia istaurata dalla società mediatica (coltivando un sano spirito critico), recuperare il dialogo tra educatore e ragazzo (“il mancato dialogo dà origine al bullismo…”), riscoprire il valore del pudore e del perdono. Va bene che la scuola sia protagonista di quest’opera, ma tenendo sempre presente che “il lavoro pedagogico è un’impresa corale”.
Laura Prinetti